Comunicare per sottrazione

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Uno dei dogmi che, da quando sono diventata genitore, si è disintegrato sotto il peso della realtà e’ che i bambini si crescono da soli. Avevo questa idea di famiglia che va avanti motu proprio: i bambini vivono la vita quotidiana con gli adulti e assorbono da loro abitudini, modi di comportarsi, educazione, un po’ tutto insomma, e nel frattempo crescono. In realtà, prima di diventare mamma, questo pensiero mi si era andato incrinando quando ripensavo a mia madre riversa su mio fratello minore, allora adolescente, lui rivolto verso il muro e lei silenziosa che non sapeva che parole trovare. Ecco, una volta diventata mamma, io quelle parole avrei dovuto assolutamente trovarle! Ma forse questa della incomunicabilità era una fase che sarebbe arrivata solo dopo, solo nell’adolescenza. Per tutta l’infanzia, forse, valeva ancora il mio caposaldo. Il Tigre e la Pulcetta mi stanno insegnando tante cose. Prima di tutto, che no, non si cresce da soli. Che si, si assorbe dalla famiglia: se vedi sempre papà nello studio circondato da libri che va consultando fra una frase al computer e l’altra, impari senza volerlo che vuoi studiare tanto anche tu. Se leggere con i grandi e’ un’attività piacevole tanto quanto giocare, naturalmente vai a cercare i libri. Impari pure che se mamma ad un certo punto sbotta e urla esasperata, anche tu urli se non vuoi qualcosa. O se la vuoi. Ecco, con i bambini la comunicazione non è soltanto verbale. E’ anche <strong>un esercizio di sottrazione</strong>. No, non comprerò altri golfini, tute, scarpe fucsia, perché senza rendercene conto, a poco a poco, abbiamo riempito i cassetti della Pulcetta e io non voglio assolutamente passarle questa idea di un mondo femminile e di un mondo maschile, diversi, separati, in contrapposizione. Non porterò un giochino all’uscita del nido, anche se muoio dalla voglia di farli contenti, perché non devono andare a scuola perché “dopo il bastone riceveranno la carota”. Non proporrò loro del cibo per distrarli da un pianto inconsolabile dovuto ad un litigio o ad un capriccio, perché non voglio passar loro l’idea del cibo consolatorio. Quando il Tigre dice o fa cose tipiche di un bambino di sei anni piuttosto che di uno di tre, non gli dico: “Uao! Bravissimo!” E non vado a raccontare in giro in sua presenza di quanto è stato capace, perché non voglio che cerchi sempre la mia o la altrui approvazione. Quando la Pulcetta e’ vestita a festa ed è una piccola bambolina, non le dico che sembra una principessa, perché voglio che apprezzi tutte le sue qualità, prima di tutto quelle intellettuali e non solo la bellezza. Ogni volta che non faccio una di queste cose, ho bisogno, prima, di fermarmi, pensarci. Comunicare per sottrazione e’ un esercizio faticoso. Che ha bisogno di allenamento. Parli, spieghi, aggiungi parole a parole per far capire ad un treenne che non deve stendersi faccia a terra e dito in bocca, apatico, quando c’è qualcosa che non va. Poi lo guardi, vedi il suo visino che cerca di capire tutte quelle frasi e pensi:”Ma che sto facendo?” Anche lasciarlo essere e’ comunicare. Forse il modo migliore.

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2 pensieri su “Comunicare per sottrazione

  1. Ciao! Capito per la prima volta nel tuo blog! 🙂
    Non avevo mai pensato a dare questa “definizione” ma in effetti calza a pennello!!!
    Hai ragione, è molto molto difficile comunicare ANCHE non facendo determinate cose…
    Per quanto riguarda l’incomunicabilità credo che la fase dell’adolescenza sia proprio critica…è quasi fisiologico che si crei questo clima….Mi ricordo che sia io che mio fratello non volevamo comunicare, parlare, aprirci in certi momenti. Forse la comunicazione in quel periodo è proprio cercare di astenersi un po’ dall’essere troppo invadenti e rispettare i muri che l’adolescente costruisce….
    Da mamma credo sia molto difficile…ne riparliamo tra una decina di anni!!! 🙂

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    • Già, hai detto bene: nell’adolescenza il ruolo del genitore e’ anche un po’ quello di mettersi da parte. Ma se l’adolescente in questione si mette nei guai? Penso che come madre non riuscirei a stare a guardare. Oh, mamma, non voglio ancora pensarci! Mi bastano le paturnie di quel sensibilone del Tigre e i capricci momentanei della Pulcetta!

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