I figli sono delle madri

Quante donne in attesa del primo bambino si sono sentite dire la frase: “I figli sono delle madri?”. Le neomamme, in effetti, vengono catapultate in una routine quotidiana che le costringe ad una quanto mai forsennata perfomance di ottime prestazioni, fra notti insonni e bisogni da esaudire. Con la crescita del neo-arrivato, poi, aumenta anche la sensazione di essere state private della propria individualità: spesso a trentacinque anni, la madre ha l’impressione di essersi trasformata, suo malgrado, da donna super indipendente ed autonoma a mera estensione del figlio. A questo punto si riesce a comprendere meglio il tabù che sottende alla frase d’inizio: la vita con un neonato diventa quanto mai dura e ostacolante.
Una donna bandisce tutti i propri bisogni, perfino i primari, per supplire a quelli del proprio cucciolo. Nessuna illusione, anche se si è sempre pensato di aver sposato il più nord europeo degli uomini italiani, i figli sono a carico delle madri. Magari il papà aiuta nel cambio del pannolino e fa il bagnetto al bimbo, ma, dal momento in cui nascono, i figli restano a carico della parte femminile della coppia, l’ormai ex sesso debole.
Spesso, discutendo del problema della divisione dei compiti tra mamma e papà, emerge che il comportamento culturale è tangibilmente spostato in una direzione univoca, anche fra le stesse donne: quante mamme si fanno normalmente carico degli impegni familiari ancor prima di pensare di poterli dividere col coniuge? La maggior parte incastra figli, impegni di lavoro, baby-sitter, orari soffocati, per gestire tutto come se dovesse affrontare una passeggiata su una corda tesa a parecchi metri d’altezza. In poche si fermano a pensare che bisognerebbe trovare una soluzione coinvolgendo anche il papà.
Ovviamente la suddivisione dei compiti passa anche dalla legislazione e, considerando quella sulle pari opportunità e i congedi parentali in Italia, la situazione non invoglia – né tantomeno tutela – finanche quei padri più sensibili alla causa familiare.
In un’intervista di tre anni fa, perfino l’allora Capo Dipartimento per le Pari opportunità Isabella Rauti affermava: «Da angelo del focolare la donna d’oggi è diventata un’acrobata. Il lavoro femminile è il nodo di fondo del lavoro italiano, ed è una risorsa economica e sociale il cui punto di arrivo è l’inclusione di tutte le donne». Riflessione, quest’ultima, completamente disattesa dalla realtà dei fatti: da uno studio Ocse le madri disoccupate con tre o più figli nel nostro paese sono il 70%.
Eppure anche le neuroscienze continuano a verificare che la maternità fa sviluppare doti e migliorare capacità; sviluppa delle abilità specifiche necessarie per prendersi cura dei figli, che sono però molto utili anche in altri ambiti, compresi quelli lavorativi. Le mamme moltiplicano la capacità multitasking tipica delle donne. Se realmente in Italia il vento della tendenza culturale cambiasse, finalmente il lavoro femminile potrebbe diventare “il nodo di fondo dell’economia” e a quel punto le donne vedrebbero riconosciute le capacità potenziate durante il periodo della maternità. Forse si potrebbe davvero mettere in pratica quella che, attualmente, appare solo come una provocatoria iniziativa di un altro blog per genitori che propone di inserire tali capacità sul proprio curriculum vitae.
E le neo mamme dimenticherebbero, finalmente, il periodo in cui i figli “erano” delle madri!

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